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N° 8

I QUADERNI DI MATERIAS


I primi passi di una startup innovativa

a cura di Intesa Sanpaolo Innovation Center S.p.A. con il supporto del giornalista Federico Bandirali

04 - 2024

ISBN: 9788899620172


Prefazione

di Viviana Bacigalupo, direttrice Generale di Intesa Sanpaolo Innovation Center

Le persone di Intesa Sanpaolo Innovation Center hanno la consapevolezza che ogni nuova iniziativa imprenditoriale sia unica e debba affrontare sfide specifiche. Crediamo però fermamente che l’esperienza condivisa e quanto appreso da chi ha già fatto questo percorso possano essere fonte di ispirazione e guida, un percorso di apprendimento continuo, fatto di successi e insuccessi, dai quali trarre insegnamenti.

L’obiettivo di questo manuale è accompagnare i lettori nei primi passi di questo cammino, fornendo strumenti e consigli pratici per affrontare le sfide che inevitabilmente ci si troverà ad affrontare.

Tale iniziativa, dedicata ai bisogni delle persone, scaturisce dalla collaborazione con Materias, ed è un esempio del costante impegno e dell’attenzione nei confronti delle tematiche ESG e dell’impatto sociale del Gruppo Intesa Sanpaolo.

Che abbiate un’idea rivoluzionaria o siate già nella fase di avvio di una startup innovativa, in questo testo troverete i primi elementi di supporto per affrontare le sfide in modo consapevole e proattivo.

Vi incoraggiamo quindi a usare le informazioni qui raccolte per iniziare la vostra avventura imprenditoriale con competenza, curiosità e determinazione.

Introduzione

In Italia, con l’approvazione dello Startup Act (Decreto Legge 179/2012 e successive modificazioni) introdotto nel 2012 dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, le startup innovative hanno trovato una definizione precisa beneficiando inoltre di una serie di agevolazioni fiscali, normative e amministrative volte a favorirne nascita e crescita, riconoscendone implicitamente l’importanza per l’economia italiana.

Grazie allo Startup Act e alle successive modificazioni, infatti, le giovani realtà imprenditoriali innovative sono aumentate costantemente, con oltre 14.000 startup innovative censite nel 2022 prima di una fase di stallo determinata dall’incertezza del contesto internazionale e da fattori esterni che si erano già fatti sentire nei Paesi occidentali, che nel 2023 ha portato il numero di startup innovative ad attestarsi a circa 13.400. Dal punto di vista giuridico, le startup innovative sono società di capitali che si caratterizzano per avere, come oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

Dal 2012 in poi il termine startup è stato spesso usato inappropriatamente per definire tutte le nuove imprese, ma per poter essere classificati startup innovative e usufruire delle agevolazioni dedicate, il requisito fondamentale è l’iscrizione nell’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese, per 5 anni dalla costituzione, prima di diventare PMI innovative con benefici assimilabili.

Gli aspetti normativi sono consultabili sia sul sito della Camera di Commercio che su quello del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Tuttavia, la normativa non spiega come creare una startup innovativa in Italia partendo da un’idea, quali sono i passaggi da seguire per svilupparla e come farla diventare una realtà imprenditoriale di successo.

Il Quaderno si ripropone quindi di rispondere a queste domande, partendo dalla definizione delle business idea fino alla predisposizione del business plan e la conseguente ricerca di investitori, con alcuni consigli utili per avviare startup innovative ed elementi imprescindibili per far sì che l’idea di base possa aver successo. Una sorta di “cassetta degli attrezzi” che contiene indicazioni utili per evitare di commettere gli errori più comuni, fornendo spunti, indicazioni e consigli da approfondire meglio prima di fondare una startup innovativa.

1. Come si generano le idee di business innovative
1.1

Il punto di partenza per costituire una startup innovativa di successo è l’idea. Tuttavia, non basta avere una semplice idea, ma occorre riuscire a generare un’idea di business distintiva, scalabile e ripetibile. La ricerca, sebbene faticosa, è pertanto un fattore fondamentale per generare un’idea imprenditoriale valida e profittevole. Per trovare opportunità di business innovative si possono utilizzare due approcci opposti: da un lato sviluppare soluzioni per risolvere problemi preesistenti (manifesti o latenti) percepiti da più persone; dall’altro partire dalle innovazioni già disponibili sul mercato per trovare ambiti di applicazione diversi in modo da rispondere a bisogni insoddisfatti.

La prima opzione implica una conoscenza approfondita del segmento di clientela a cui si intende offrire il proprio prodotto o servizio per risolvere un problema, percorrendo due strade: migliorare e perfezionare soluzioni già esistenti (incrementale), oppure inventarne di nuove e originali che cambiano drasticamente le dinamiche precedenti (disruptive).

Per generare buone idee di business esistono diverse metodologie differenti e in questo volume ci focalizziamo sulla metodologia Design Thinking e sulla metodologia Customer Development. In ogni caso, prima di generare idee innovative, è utile e quasi necessario ragionare sul motivo per cui si vuole avviare una startup innovativa. Partire dal perché, infatti, è importante per entrare in sintonia valoriale con clienti, team e collaboratori e definire la proposta di valore del possibile business: cosa offre, come lo offre e perché lo offre. Il perché non cambia mai, mentre cosa si offre e come lo si offre nel percorso di una startup sono elementi che possono variare più volte. Inoltre, partire dal perché significa stabilire la propria visione composta da tre pilastri fondamentali: l’idea del futuro (cosa si vuole vedere nel contesto in cui si opera nel lungo periodo), lo scopo (come contribuire per raggiungere il futuro immaginato) e i valori (i principi che guidano scelte e decisioni di founder e collaboratori). La visione, infatti, è cruciale per orientarsi quando si realizza che l’offerta di business non crea più valore e sono necessari cambiamenti nella propria strategia (Pivot).

1.2 - La metodologia del design thinking: i bisogni e i comportamenti del cliente al centro della progettazione

Il Design Thinking rappresenta una metodologia per affrontare problemi complessi e generare soluzioni creative. Questa metodologia si costruisce mettendo al centro l’individuo, abbracciando i principi del Design Thinking e focalizzandosi sulle necessità degli utenti, sulle potenzialità del gruppo di lavoro e sull’aspetto creativo.

Il Design Thinking mira a individuare soluzioni innovative che soddisfino tre criteri fondamentali: desiderabilità, fattibilità e redditività o sostenibilità economica. Una delle sue principali virtù è la capacità di fornire un valido supporto per prendere decisioni cruciali e strategiche, riducendo notevolmente i rischi associati. Inoltre, promuove una cultura di ascolto, collaborazione e innovazione, concentrandosi sui bisogni delle persone, delle aziende e dei clienti.

Il processo del Design Thinking è caratterizzato da un approccio non lineare e iterativo, in cui le fasi possono sovrapporsi e ripetersi più volte per ottenere soluzioni sempre più raffinate e adattate alle esigenze degli utenti. Inoltre, è un processo fortemente collaborativo, che coinvolge gruppi di lavoro multidisciplinare con diverse prospettive e competenze.

Ecco una panoramica delle fasi principali del Design Thinking:

  • Empatizzazione: Questa fase coinvolge l’osservazione, l’interazione e la comprensione degli utenti per identificare i loro bisogni e le loro sfide e i comportamenti emotivi. In questa fase è richiesta una particolare cura dei dettagli per arrivare a definire le “personas” che saranno poi fulcro della sessione intera, da cui partiranno e si svilupperanno idee e soluzioni. Le “personas” replicano segmenti di utenti che rappresentano gli obiettivi, i bisogni e i comportamenti tipici degli utenti reali di un prodotto o servizio. Le personas sono create attraverso la raccolta e l’analisi di dati demografici, comportamentali e psicografici degli utenti target. Gli strumenti utilizzati includono interviste, osservazioni sul campo e l’analisi di dati quantitativi e qualitativi.
  • Definizione del problema: Una volta acquisite informazioni e compreso il punto di vista degli utenti, il team del Design Thinking definisce il problema in modo chiaro e conciso. Questo passaggio aiuta a concentrare gli sforzi nella giusta direzione. È necessario definire le difficoltà che incontrano gli utenti e circoscrivere il problema che il gruppo di lavoro è chiamato a risolvere. Il problema viene così esaminato immedesimandosi nell’utente una volta raccolte e analizzate le esigenze.
  • Ideazione: In questa fase, i membri della squadra generano idee innovative per affrontare il problema identificato. L’obiettivo è generare un ampio ventaglio di idee, senza giudizio critico, per stimolare la creatività e l’innovazione. Si tratta della fase nella quale si iniziano a progettare le soluzioni ed è fondamentale la creatività e la capacità di ideazione dei partecipanti. È necessario e utile riunire il gruppo di lavoro anche più volte, al fine di raccogliere e confrontare il maggior numero di idee possibile.
  • Prototipazione: Le idee più promettenti vengono selezionate per essere trasformate in prototipi tangibili, che possono essere modelli, simulazioni o rappresentazioni visive delle soluzioni proposte. Questi prototipi consentono al gruppo di lavoro di testare e valutare rapidamente le idee in modo da poterle migliorare iterativamente.
  • Test: I prototipi vengono testati con gli utenti finali per ottenere feedback e valutare l’efficacia delle soluzioni proposte. Questo feedback informa il miglioramento continuo delle idee e dei prototipi.
1.3 - La metodologia customer development: dalla centralità del cliente alla creazione di un MVP (Minimum Viable Product)

Per aumentare le probabilità di successo si può utilizzare la metodologia Customer Development descritta da Steve Blank nel libro The Four Steps to the Epiphany (2005). Si tratta di un processo che parte dalla “costruzione” di un’ipotesi, da testare senza costi eccessivi costruendo un MVP (Minimum Viable Product) per ricevere i feedback dei primi clienti e iterare, ovvero apportare cambiamenti affinché l’offerta risponda realmente ai bisogni o alla necessità di risolvere i problemi dei segmenti di clientela a cui ci si rivolge. Un MVP, infatti, non è un prototipo ma una versione del prodotto/servizio “essenziale” (non necessariamente fisica in quanto può essere anche un video dimostrativo creato con tool appositi), utile per validare le ipotesi su cui poggia la business idea.

L’approccio Customer Development si basa su quattro fasi distinte che partono dal cliente e non dal prodotto. La prima (Customer Discovery) indaga il Problem Solution Fit per capire se si sta affrontando un problema realmente importante per i potenziali clienti, ovvero è una problematica percepita solo da chi ha sviluppato l’idea di business? La risposta, per quanto parziale, arriva proprio con la realizzazione di un MVP. La seconda fase (Customer Validation) prevede la validazione del cliente per capire se la soluzione immaginata per risolvere un problema genera valore che può essere estratto e tradotto in ricavi per la startup. Lo step successivo (Customer Creation) comprende l’insieme delle modalità attraverso cui acquisire il maggior numero di clienti possibile efficientando i processi in questa direzione. L’ultima fase (Company Building) segna il fine vita della startup, che si struttura e crea processi interni con l’obiettivo di diventare una vera e propria impresa.

L’approccio Customer Development mette sempre al centro l’utente/ cliente del prodotto o del servizio che si intende offrire, dall’idea di business alla proposta di valore (value proposition) fino alla creazione del business model. In quest’ottica, si può immaginare un altro processo suddiviso sempre in quattro fasi: esplorare, immaginare, disegnare e avviare. Nell’esplorazione è opportuno capire quali bisogni, aspettative e problemi sono percepiti dai clienti target attraverso interviste, dialoghi “aperti” e osservazione. Passando all’immaginazione, si generano soluzioni per uno specifico segmento di clientela individuato con degli archetipi: le user personas.

Le user personas rappresentano una determinata tipologia di utente/cliente con caratteristiche socio-demografiche, di personalità e di bisogni percepiti. Nel design, è importante rappresentare visualmente, se possibile tangibilmente attraverso l’MVP, i prodotti o i servizi che compongono l’offerta del business, poiché solo “mettendo in mano” al cliente qualcosa di tangibile si ottengono riscontri utili. L’avviamento, invece, determina l’ingresso nella fase conclusiva della progettazione, includendo tutti gli aspetti operativi volti ad ingegnerizzare il prodotto o il servizio per introdurlo nel mercato.

1.4 - La definizione della proposta di valore con il Value Proposition Canvas

Per progettare e testare le proposte di valore per i clienti, uno strumento particolarmente utile è il Value Proposition Canvas, plugin del Business Model Canvas ideato da Alexander Osterwalder - consulente svizzero esperto di innovazione e strategia aziendale - che si focalizza su due aspetti fondamentali: il segmento di mercato a cui si rivolge l’offerta innovativa e la value proposition. Un template composto visivamente da due parti: il profilo del cliente (a destra) e la mappa del valore (a sinistra) con al centro la proposta di valore. Il profilo del cliente descrive i bisogni, i desideri, le frustrazioni e i benefici attesi dal cliente, suddivisi in tre categorie: pain, gain e jobs to be done. I pain sono i problemi, le difficoltà, i rischi e gli ostacoli che il cliente/utente incontra o vuole evitare, i gain rappresentano i risultati, i vantaggi, le opportunità e le aspirazioni che cerca o vuole raggiungere, mentre i jobs to be done sono i compiti e le attività che svolge o desidererebbe svolgere.

La mappa del valore descrive come il prodotto o il servizio crea valore per il cliente ed è suddiviso in due categorie: pain relievers e gain creators. I pain relievers identificano le soluzioni, i benefici, i miglioramenti e le riduzioni che il prodotto o il servizio offre per alleviare i “dolori” (pain) del cliente. I gain creators sono le caratteristiche, i vantaggi e le differenze rispetto alle soluzioni dei competitor che il prodotto o il servizio offre per creare o aumentare i gain del cliente. Il Value Proposition Canvas è quindi una sorta di “ponte” tra il profilo del cliente e la mappa del valore, che mostra visivamente come il prodotto o il servizio si adatta ai bisogni e alle aspettative del cliente. Lo strumento, però, va utilizzato seguendo una serie di passaggi.

Innanzitutto bisogna individuare il segmento di mercato a cui si intende rivolgersi e definire il profilo del cliente tipo elencando sinteticamente i pain, i gain e i jobs to be done più importanti. A seguire si deve ideare la value proposition e definire la mappa del valore, individuando i pain relievers e i gain creators più efficaci. Fatto ciò, si procede con un confronto tra il profilo del cliente/utente e la mappa di valore, verificando se ci sono corrispondenze tra pain e i pain relievers, e tra gain e i gain creators. A questo punto si valuta la “forza” della value proposition misurandone la desiderabilità per il cliente (ovvero se risolve i problemi e crea i gain desiderati) e la differenza del proprio prodotto o servizio rispetto alla concorrenza che ne determinano l’unicità, per poi testare sul campo la proposta di valore con potenziali clienti attraverso la raccolta di feedback utili a validare le ipotesi e, se necessario, apportare modifiche al template. Predisposto il Value Proposition Canvas e stabilite di conseguenza le modalità con cui creare ed estrarre valore (lavoro che può e in alcuni casi deve richiedere tempo) si passa alla creazione del business model.

2. Come si crea un business model vincente

Dopo la validazione della business idea e l’eventuale realizzazione di un MVP, il passaggio seguente consiste nella creazione di un modello di business vincente e sostenibile (economicamente e per l’ambiente), che illustri le fonti di guadagno, i costi e altri elementi essenziali a partire dalla value proposition del prodotto/servizio ideato dalla startup innovativa. Lavorare attentamente sul business model, apportando eventuali modifiche e miglioramenti, rappresenta un passaggio cruciale per il successo di una startup. Numerose ricerche, tra cui quelle condotte da prestigiose istituzioni come l’Harvard Business Review e IBM, dimostrano infatti come l’assenza di un modello di business convincente sia uno dei fattori chiave che determinano l’insuccesso di molte startup.

Innovare il business model facendo lo stesso con il prodotto o il servizio offerto può garantire un margine operativo elevato, assicurando vantaggi in termini di flessibilità strategica e costi. Secondo una ricerca del Boston Consulting Group, infatti, gli investitori esterni sono maggiormente attratti dagli innovatori dei modelli di business rispetto a quelli del prodotto, in quanto generano vantaggi di lungo periodo per la propria attività.

2.1 - Il business model canvas: come nasce e perché è lo strumento principale per definire il modello di business

Nella creazione del modello di business, lo strumento principale da utilizzare per una startup è il Business Model Canvas, creato da Alexander Osterwalder in collaborazione con altri esperti del settore e pubblicato nel libro “Business Model Generation” nel 2010.

Il Business Model Canvas è un template composto da nove blocchi che si compila attraverso l’utilizzo di post-it colorati, con l’intento di rendere il modello di business facilmente modificabile e condivisibile. Gli adesivi apposti su un foglio di grandi dimensioni, infatti, consentono di visualizzare l’insieme delle componenti chiave del progetto, favorendo la verifica della sua coerenza e sostenibilità nel tempo: uno strumento efficiente ed efficace per plasmare un’idea imprenditoriale creando un progetto solido e vincente in modo obbligatoriamente sintetico.

Secondo Osterwalder, il Business Model Canvas rappresenta una guida visiva che illustra come un’organizzazione crea, distribuisce ed estrae valore indipendentemente dal settore di appartenenza, e non a caso è stato adottato con successo da diverse tipologie di aziende. Il template è costituito da nove “building blocks” che si possono suddividere in due categorie: gli aspetti legati al valore, che comprendono i segmenti di clientela specifici da servire, la proposta di valore (ovvero la soluzione - prodotto o servizio - che risolve i problemi e trasmette i benefici del brand a ogni singolo segmento), i canali di distribuzione, le relazioni con i clienti e le fonti di ricavo specifiche per ciascun segmento.

La seconda parte del template si concentra sull’efficienza, individuando con precisione le risorse chiave, come quelle fisiche, intellettuali, umane e finanziarie, nonché le key activities, i partner chiave e i costi che influenzano il modello di business. Utilizzando il Business Model Canvas è possibile definire con chiarezza il valore aggiunto dell’offerta, come si concretizza e quali sono i costi da sostenere e i ricavi di un’iniziativa imprenditoriale innovativa grazie a una visione sintetica ma completa del proprio business model.
Sebbene non esistano regole rigide per la creazione di un modello di business, è sempre opportuno partire dall’analisi del mercato individuando eventuali problemi da risolvere. In questo modo è possibile identificare il segmento di clientela “giusto” per il proprio prodotto o servizio, selezionare con attenzione i clienti più importanti e concentrare gli sforzi su di loro eliminando quelli che non sono interessati all’offerta o che non ripeterebbero l’esperienza d’acquisto facendo venire meno uno dei presupposti per il successo di una startup: la ripetibilità.

Nel modello di business è fondamentale distinguere il cliente di riferimento da quello pagante. In particolare nel modello Business to Business (B2B) è essenziale identificare i ruoli e le esigenze specifiche di ogni segmento di clientela, al fine di costruire una value proposition efficace. Ogni ruolo, infatti, ha necessità e aspettative diverse che richiedono un’adeguata segmentazione. L’obiettivo principale è quindi costruire una proposta di valore che rispecchi le esigenze delle persone, al fine di attrarre i diversi segmenti di clientela e fidelizzarli. Sebbene sia possibile utilizzare la medesima value proposition per più segmenti, è altresì importante considerare le specificità di ognuno di essi e agire di conseguenza.

I canali di distribuzione e comunicazione, inoltre, rappresentano un elemento cruciale per la customer experience. La distribuzione fisica o digitale e la comunicazione sono strettamente interconnesse e, pertanto, devono essere studiate con cura. È importante quindi identificare i canali preferiti dai diversi segmenti di clientela, integrando quelli fisici con quelli virtuali per individuare quali sono i più redditizi.

La creazione di una efficace customer experience richiede la presenza di tre funzioni principali dei canali: aumentare la consapevolezza della proposta di valore, facilitare l’acquisto della propria offerta e fornire un servizio post-vendita di qualità. La costruzione di un business model di successo dipende dalla capacità di rispondere alle esigenze e alle aspettative della clientela. Il tutto rimanendo costantemente al passo con i cambiamenti del mercato, riprendendo il Business Model Canvas per riadattarlo ai cambi di contesto e alle mutevoli esigenze dei consumatori e delle imprese nel tempo.

3. Go to Market Strategy: cos'è, come si elabora e in cosa è diversa dal marketing aziendale

La Go to Market Strategy (GTM) consiste in un piano d’azione fondamentale per qualsiasi azienda che si appresta a lanciare un nuovo prodotto o servizio sul mercato, startup incluse. La Go to Market Strategy, infatti, include tutte le attività volte a raggiungere i potenziali clienti: dal posizionamento del prodotto/servizio ai canali di vendita, passando per l’analisi del mercato di riferimento e dei competitor.

Per avere successo la strategia deve basarsi su dati di mercato accurati e precisi focalizzandosi sui bisogni insoddisfatti dei clienti targettizzati, e adattarsi poi ai continui cambiamenti del mercato con l’obiettivo di massimizzare il successo del prodotto o servizio lanciato. In quest’ottica è quindi essenziale pianificare passo dopo passo una strategia efficace, tenendo presenti le differenze con il marketing aziendale “tradizionale”.

La pianificazione della strategia di Go to Market per una startup, che si concentra sugli aspetti distintivi del prodotto o del servizio e sull’asset valoriale della startup, va affrontata con un approccio strutturato. Il primo passo consiste nell’analisi del mercato di riferimento, dei trend emergenti e dei competitor, per individuare il segmento di clientela a cui si rivolge l’offerta e i rispettivi bisogni insoddisfatti.

Successivamente, è opportuno definire il posizionamento della soluzione che sarà introdotta sul mercato, esplicitando in modo chiaro l’unicità della value proposition. Sempre grazie all’attività di analisi del contesto, si valutano quindi le modalità di comunicazione dei competitor per comprendere come trovano nuovi clienti, i canali che utilizzano per farlo e quali sono i punti di forza e di debolezza di ogni competitor consentendo di elaborare una strategia di pricing (ovvero quanto i potenziali clienti sono disposti a pagare per il nuovo prodotto o servizio stabilendo il prezzo di vendita).

Fatto ciò, basandosi sempre sull’analisi della concorrenza si scelgono i canali di distribuzione e di comunicazione - on e offline - più adatti ad acquisire clienti interessati al prodotto o al servizio offerto. Infine, è essenziale monitorare costantemente l’efficacia della strategia adottata e apportare eventuali modifiche in base ai risultati ottenuti rispetto a quelli attesi.

Se il prodotto o servizio è B2B, però, è importante tenere a mente le differenze con quelli Business to Consumer (B2C). Qualora si tratti di soluzioni rivolte alle imprese, infatti, il processo decisionale d’acquisto è più articolato e complesso, in quanto coinvolge molteplici attori che hanno ruoli diversi. In quest’ottica è imperativo identificare canali di distribuzione appropriati, nonché individuare delle modalità di comunicazione efficaci per arrivare agli interlocutori “giusti”.

Personalizzare l’offerta e instaurare poi una relazione basata sulla fiducia con i clienti business, è quindi cruciale per il successo di una strategia di Go to Market B2B. Con la misurazione dell’efficacia ancor più rilevante, in quanto il processo di vendita è lungo e articolato, e comporta maggiori investimenti di risorse e tempo affinché si perfezioni.

3.1 - La misurazione dell'efficacia della go to market strategy: perché è fondamentale

Una volta stabilita la Go to Market Strategy, misurarne oggettivamente l’efficacia è infatti fondamentale per valutare il successo del lancio di un nuovo prodotto o servizio, sia esso B2C o B2B. Per farlo, è cruciale definire obiettivi S.M.A.R.T, ovvero Specifici, Misurabili, Raggiungibili, Realistici e Gestibili in un arco di tempo prestabilito, oltre a comprendere meglio bisogni e problemi della propria audience inserendoli in un’analisi che non si limita agli aspetti demografici, ma si configura come una sorta di studio psicologico dei segmenti targettizzati. Per questo gli obiettivi S.M.A.R.T. riguardando ambiti specifici come le vendite, i clienti acquisiti nei tempi prestabiliti e le eventuali discrepanze con le attese, o la quota di mercato detenuta. Gli aspetti da monitorare costantemente, ad esempio, riguardano i dati oggettivi relativi alle performance della strategia elaborata, il costo medio da sostenere per acquisire clienti, nonché il loro “ciclo di vita” aiutandosi con tool dedicati disponibili sul mercato. Stabilire metriche di valore - escludendo le cosiddette vanity metrics come i like e le impression dei post sui social network - insieme all’analisi dei feedback dei clienti e delle opinioni degli stakeholder, permette di correggere e migliorare la strategia di Go to Market e il piano marketing aziendale.

3.1 - Differenze e punti in comune tra un piano marketing aziendale e la Go to Market Strategy

Piano marketing che presenta differenze sostanziali con la Go to Market Strategy. La GTM Strategy, infatti, punta ad immettere sul mercato un nuovo prodotto o servizio efficacemente, con lo scopo di incrementare le possibilità di successo e di raggiungere i segmenti di clientela identificati. Il marketing aziendale, invece, si focalizza sulla costruzione e la promozione di un’azienda attraverso campagne pubblicitarie o promozioni. L’obiettivo è innanzitutto instaurare un legame duraturo tra brand e clienti, facilitando la fidelizzazione di quest’ultimi attraverso la condivisione di valori e la promozione di prodotti non necessariamente nuovi.

La Go to Market Strategy si concentra quindi sulla catena del valore nel suo complesso - dalla produzione alla distribuzione al cliente finale -, mentre il marketing aziendale si focalizza soprattutto sul brand e sui tratti distintivi che portano a sceglierlo. Pertanto la strategia GTM è orientata ai risultati e alla misurazione della sua efficacia a breve termine, mentre il marketing aziendale si concentra sulla creazione di un’immagine positiva dell’attività imprenditoriale nel lungo periodo con elementi comunque misurabili come l’immagine, la reputazione e il sentiment. Per questo la Go to Market Strategy si inserisce nella più ampia strategia di marketing aziendale, e nel progettarla è necessario che sia coerente con quest’ultima anche quando una startup nelle prime fasi di sviluppo non ha ancora elaborato un piano di marketing definitivo.

4. Business Plan: perché è indispensabile e cosa non può mancare nel documento

Per avviare una startup innovativa la redazione del Business Plan è indispensabile. Il documento comprende una descrizione dettagliata del progetto imprenditoriale, che spazia dagli obiettivi fissati alla pianificazione finanziaria, passando per le strategie di business e marketing fino alle risorse - economiche e in termini di competenze - necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. Lo strumento ha un duplice scopo: da un lato serve per presentare la strategia aziendale e consentire al team di allinearsi in caso di difficoltà, dall’altro consente l’accesso a finanziamenti, investimenti di attori “formali” e fondi pubblici che altrimenti sarebbero preclusi.

Il Business Plan si compone di due parti. La prima, descrittiva, ha lo scopo di presentare un quadro completo dell’iniziativa imprenditoriale, del mercato in cui si inserisce, dell’analisi dei concorrenti già attivi e delle strategie di marketing adottate nonché della propria Go to Market, Strategy.

Grazie a questo documento i possibili investitori, quelli già acquisiti e gli altri stakeholder coinvolti nel progetto a vario titolo hanno una visione complessiva del progetto e l’opportunità di valutare l’idea, la fattibilità e il potenziale a breve e medio termine. Il Business Plan ha solitamente una durata variabile dai tre ai cinque anni, sebbene sia consigliabile aggiornarlo periodicamente, ed è un elemento fondamentale per il successo di qualsiasi iniziativa imprenditoriale, da compilare seguendo una sorta di traccia modificabile ad esclusione della conclusione che mette in luce dati finanziari più oggettivi possibile (ovviamente per una startup appena costituita si tratta di stime).

La sezione di apertura del Business Plan è la cover page, che rappresenta il biglietto da visita per i potenziali investitori e key partners. Questo elemento deve catturare l’attenzione grazie a una brand identity ben definita che include il logo, il nome e i contatti della startup.

Successivamente, l’Executive Summary costituisce un riassunto essenziale ma persuasivo del Business Plan. Essa tiene alta l’attenzione del lettore e comunica in modo efficace gli aspetti più salienti dell’iniziativa imprenditoriale. Tra questi, si evidenziano gli obiettivi, le strategie, i prodotti o i servizi offerti, i punti di differenziazione dai concorrenti e quelli di forza del proprio progetto. L’approccio informale è spesso fondamentale per rendere coinvolgente e interessante la presentazione del Business Plan.

La terza sezione del documento è dedicata alla descrizione dell’azienda: un tassello fondamentale che deve essere presentato in maniera chiara e, soprattutto, convincente. Tra gli aspetti da affrontare, vi sono la storia della startup, la sua visione di business e la mission, i valori, il team e le competenze che lo sostengono, nonché l’organizzazione interna nel caso in cui i dipendenti siano numerosi. È importante dimostrare “su carta” la capacità di portare avanti l’attività e di raggiungere obiettivi ambiziosi grazie al supporto del team di lavoro.

La quarta sezione, invece, si concentra sulla descrizione dettagliata dei prodotti o dei servizi che l’azienda intende realizzare. Riepilogando i tratti distintivi rispetto ai propri concorrenti, è essenziale evidenziare i vantaggi e la proposta di valore offerta, dimostrando in maniera convincente come sia possibile andare incontro alle esigenze dei segmenti di clientela già identificati. È importante approfondire questi aspetti creando un’adeguata quantità di buyer personas allo scopo di dimostrare di “conoscere” la propria clientela attraverso gli archetipi predisposti in precedenza. L’ultima componente imprescindibile riguarda la validazione dell’idea aziendale, cruciale per la successiva implementazione del business plan. Il tono utilizzato deve essere professionale e convincente per garantire la massima chiarezza e coerenza.

In una sequenza logica e strategica, la fase successiva consiste nell’analisi di mercato e dei dati emersi, partendo dalla dimensione del mercato e dalle opportunità offerte, fino ad arrivare alla dimostrazione della scalabilità e dell’adattabilità del modello di business ripetibile.
Questo passaggio richiede anche l’esame della concorrenza, delle forze che regolano il loro business model e delle eventuali sfide da affrontare. È quindi opportuno includere anche previsioni di sviluppo come il TAM (Total Avaliable Market), ovvero la domanda totale di mercato per un prodotto o servizio, il SAM (Serviceable Available Market), cioè il segmento del TAM a cui il prodotto o servizio innovativo è stato targettizzato, e il SOM (Serviceable Obtainable Market), che evidenzia il segmento di clientela che potrebbe diventare fruitore.

Completata questa fase, si passa alla strategia di lancio dei prodotti o servizi innovativi attraverso un’attenta pianificazione delle attività. In linea con gli obiettivi del Business Plan, è necessario fornire una visione dettagliata di elementi come i canali di distribuzione scelti, il budget disponibile e le risorse da acquisire per raggiungere gli obiettivi di business in un determinato periodo di tempo, le metriche di valutazione dei risultati ottenuti e la strategia di marketing a lungo termine.

Guardando sempre al futuro, è cruciale definire una roadmap chiara e comprensibile dei passi operativi da intraprendere, specificando obiettivi a medio e lungo termine come l’espansione o l’internazionalizzazione o, ancora, la ricerca e lo sviluppo di altri prodotti e servizi innovativi. La roadmap deve fornire un quadro delle risorse necessarie e i tempi precisi per raggiungere gli obiettivi chiave, preferibilmente suddivisi in traguardi intermedi utili per allineare il team e fare il punto della situazione affidandone la valutazione a figure chiave responsabili dei vari step del progetto.

Il penultimo passaggio del Business Plan è la presentazione del team, che deve apparire e mostrarsi solido, competente, nonché in grado di affrontare le sfide che si presenteranno nella realizzazione del progetto imprenditoriale. È importante trasmettere fiducia ai potenziali investitori e collaboratori, evidenziando l’esperienza e le competenze delle figure principali del team, le sinergie e la complementarità delle competenze, la determinazione e l’entusiasmo nel perseguire obiettivi condivisi e la pianificazione delle nuove assunzioni nel tempo.

Il Business Plan si conclude con una panoramica concisa dei dati finanziari, ovvero presentando il Financial Plan. La sezione rappresenta la componente economica del documento, dove vengono descritte le strategie finanziarie adottate, le previsioni di vendita, il budget disponibile al netto di prestiti e investimenti esterni, il conto economico, il bilancio, il cash flow e il rendiconto finanziario. Inoltre, viene fornita la valutazione pre-money della startup, che stabilisce il “costo” per entrare nel capitale sociale prima che l’investimento sia perfezionato (valutazione post- money). È importante offrire una valutazione realistica per non svalutare la propria idea di business agli occhi degli investitori, o scoraggiarli qualora risulti eccessivamente elevata.

5. Quali sono le fonti di finanziamento per una startup innovativa: vantaggi e svantaggi

Avviare una startup richiede inoltre una pianificazione finanziaria che consenta di trasformare un’idea di business validata in un’iniziativa imprenditoriale di successo. Le diverse fonti di finanziamento a cui possono attingere le realtà innovative nelle varie fasi di sviluppo si possono suddividere in due macrocategorie: quelle interne e quelle esterne.

5.1 - Le fonti di finanziamento interne

Il risparmio personale è evidentemente la fonte più immediata a cui attingere ma, salvo rare eccezioni, anche la più limitata. Questa soluzione generalmente è preferibile per avviare una startup senza dover dipendere da altri soggetti, anche se nella maggior parte dei casi comporta un alto rischio oltre a richiedere nel medio termine una disponibilità economica personale elevata.

Il prestito tra familiari, amici o conoscenti, invece, si basa sulla fiducia personale più che sulla bontà dell’iniziativa imprenditoriale. Anche in questo caso vi sono eccezioni, ma abitualmente questa fonte (nota anche come 3F: family, friends and fools) ha dei limiti di importo e di durata. Inoltre, può generare tensioni quando non sono chiare le modalità di rimborso, pertanto è opportuno mettere tutto “nero su bianco” e chiarire a chi elargisce il prestito (non è un caso che per i conoscenti si utilizzi la traduzione in inglese di “pazzi”) le condizioni di rimborso e i rischi a cui va incontro.

Il bootstrapping è una fonte che si basa sull’autofinanziamento della startup attraverso il reinvestimento degli utili poggiando quindi sui clienti. Contare sui flussi di cassa è una strategia che favorisce la crescita organica e sostenibile della startup, ma richiede tempi lunghi e una gestione efficiente delle risorse. Inoltre, può limitare le opportunità di espansione e innovazione.

Il crowdfunding si basa sulla raccolta di fondi online da parte di una comunità di sostenitori che credono nell’idea imprenditoriale. Può essere di diversi tipi: donazione (senza contropartita), ricompensa (con contropartita in beni o servizi), equity (con partecipazione al capitale) o lending (che prevede la restituzione del prestito, con o senza interessi). Il crowdfunding permette di testare il mercato, creare una rete di clienti e promotori e ottenere visibilità, ma richiede una campagna di comunicazione efficace e coinvolgente nonché il rispetto degli impegni presi con i sostenitori.

5.2 - Le fonti di finanziamento esterne

Passando alle fonti esterne, il prestito bancario è un’opzione “classica” che consente di ottenere un finanziamento da un’istituzione finanziaria a fronte del pagamento di interessi e del rilascio di garanzie. Può essere utile per coprire le spese operative o per realizzare investimenti strutturali, ma ha dei requisiti elevati in termini di solidità finanziaria, redditività e business plan. Inoltre, spesso comporta un indebitamento a lungo termine che può incidere sugli utili della startup a lungo andare.

Tra gli investitori esterni, soprattutto nelle fasi iniziali, rientrano i business angels: soggetti privati che mettono a disposizione le proprie risorse finanziarie e competenze per sostenere lo sviluppo di startup innovative con alto potenziale di crescita. Il loro obiettivo è di partecipare al successo delle imprese che finanziano, ottenendo un ritorno economico dalla loro quota azionaria o dalla loro cessione a terzi. I business angels investono nelle startup innovative perché credono nella loro capacità di creare valore, innovazione e occupazione, e perché vogliono contribuire al progresso economico e sociale del territorio in cui operano.

Un’altra fonte a cui attingere, solitamente dopo le fasi di pre-seed e seed, è rappresentata dai venture capital, ovvero fondi di investimento che forniscono capitale di rischio a imprese innovative, in particolare quelle operanti in settori ad alto potenziale di crescita, come la tecnologia, la biotecnologia o le energie rinnovabili. Lo scopo dei venture capital è di sostenere lo sviluppo e la scalabilità di queste imprese, in cambio di una quota azionaria o di un diritto di opzione per entrare nella società. I venture capital sono spesso composti da investitori istituzionali, come banche, fondi pensione o assicurazioni, ma anche da investitori privati, come imprenditori o family office.

Inoltre, per la crescita di una startup possono giocare un ruolo importante gli incubatori (strutture che offrono servizi di supporto alle startup in fase embrionale) e gli acceleratori (programmi intensivi che offrono mentorship, formazione e networking alle startup in fase di crescita) che consentono anche di presentarsi a potenziali clienti e investitori nei Demo Day.

Gli investitori istituzionali permettono di accedere a risorse finanziarie, umane e relazionali di alto profilo, ma solitamente richiedono una condivisione del controllo e della strategia della startup e una prospettiva d’uscita dall’investimento in un arco di tempo prestabilito.

Infine, le istituzioni pubbliche sono enti che offrono incentivi alle startup sotto forma di bandi, agevolazioni fiscali, garanzie sui prestiti (anche a tasso zero) o contributi a fondo perduto. Gli incentivi possono essere elargiti da istituzioni comunitarie, nazionali, regionali o locali. Le istituzioni pubbliche favoriscono quindi la nascita e lo sviluppo di startup innovative e socialmente utili, ma hanno anche criteri selettivi rigidi e procedure burocratiche complesse e spesso lente.

Ogni tipologia di finanziamento presenta quindi caratteristiche specifiche che lo rendono più o meno adatto ad una startup in base alla fase di sviluppo che sta attraversando, al settore di attività, al fabbisogno finanziario (predisporre una piattaforma software ha costi inferiori rispetto a rivoluzionare processi industriali con macchinari innovativi) e al livello di rischio. Il tutto con la consapevolezza che ogni fonte presenta vantaggi ma anche vincoli e costi. Pertanto, le fonti di finanziamento vanno scelte con cautela e oculatezza, valutando obiettivi, esigenze economiche e aspettative di crescita della propria startup e soppesandone vantaggi e svantaggi nel medio-lungo termine.

6. A cosa serve l'Elevator Pitch e come strutturarlo per catturare l'interesse degli investitori

Un elemento cruciale per le startup innovative è il pitch, conosciuto anche come elevator pitch: una breve presentazione del proprio progetto, prodotto o servizio, finalizzata a convincere un potenziale investitore in un lasso di tempo compreso tra 3 e 5 minuti. Ovvero il tempo di un breve viaggio in ascensore dal piano terra all’ufficio di un manager ai piani alti di un ipotetico grattacielo, nel quale lo startupper deve esporre gli aspetti salienti della sua realtà.

A differenza del business plan, il pitch è un documento più semplice da aggiornare e presenta un formato agile e diretto, sintetizzando l’essenza del proprio progetto in poche parole per intercettare l’interesse dei potenziali investitori. Inoltre, il pitch può essere considerato come una sorta di un biglietto da visita della startup aggiornato: un valido strumento per presentare il proprio progetto e la propria startup a tutti gli stakeholder esterni, come dipendenti, fornitori e partner chiave.

Infatti, un pitch efficace consente di comunicare in modo semplice, rapido e coinvolgente il valore aggiunto dell’idea imprenditoriale, convincendo così gli investitori a credere nel progetto. La struttura del pitch deve essere ordinata e sintetizzata in un documento condiviso da tutto il team, offrendo una visione realistica della startup che funga presentazione per gli stakeholder esterni e da “bussola” per il team della giovane realtà imprenditoriale innovativa.

Per creare un pitch vincente è fondamentale dedicare attenzione alla slide introduttiva che si configura come una sorta di biglietto da visita, in modo da dare una buona prima impressione per costruire una relazione con il potenziale investitore. In particolare, il Summary (copertina) iniziale deve includere il nome della società (preferibilmente evocativo), un logo, una frase di accompagnamento e i contatti. Il tono di voce deve essere professionale per trasmettere credibilità.

Dopo la copertina, è essenziale esporre la soluzione o il prodotto. A differenza di quanto la teoria riporta, minore è il tempo a disposizione per la presentazione maggiore assume la priorità di presentare la soluzione o il prodotto come primo elemento del pitch. Viene stimato che dopo il primo minuto l’interlocutore perde l’attenzione sul presentatore ed è pertanto necessario far capire subito in cosa consiste la proposizione.

Successivamente, si passa alla descrizione dei benefici, così come i vantaggi tecnologici (sia di prodotto che di mercato), come risoluzione di problemi rilevati dal mercato e che i competitor non ancora risolvono. Se possibile, è anche opportuno mostrare un’immagine del prototipo o dell’MVP del prodotto o del servizio, illustrando i possibili casi d’uso.

La slide seguente deve indicare i risultati raggiunti fino a quel momento, dimostrando all’investitore che la startup ha sì bisogno del suo aiuto, ma ha già fatto molto da sola. Si parlerà quindi del processo di sviluppo del prodotto/servizio, delle eventuali assunzioni (specificando il numero di dipendenti), del fatturato (se disponibile), delle metriche operative e dei clienti principali. Inoltre, la data di costituzione della società e le eventuali partnership già realizzate possono fornire ulteriori informazioni utili per “inquadrare” la startup.

Il passo successivo riguarda l’analisi di mercato, poiché per convincere gli investitori è importante dimostrare il potenziale economico della startup attraverso una slide dedicata al “market size” e all’analisi dei competitor. I dati di mercato possono riguardare il TAM, il SAM e il SOM (Serviceable Obtainable Market).

Fatto ciò, si procede con la presentazione del modello di business che descrive come l’organizzazione intende generare ricavi con il proprio prodotto o servizio. In poche slide, è necessario presentare la strategia per realizzare l’idea di business e i relativi guadagni. L’obiettivo è quello di convincere gli investitori che il progetto è attuabile e profittevole, in quanto risponde a bisogni insoddisfatti dei segmenti di clientela targettizzati.

Qualora non sia stata inclusa nella presentazione, dopo il modello di business si può predisporre una slide dedicata al prodotto/servizio della startup, in cui inserire le informazioni più rilevanti (configurazione, funzionalità, caratteristiche, architettura, presenza di brevetti, ecc..) e la roadmap di sviluppo. Mantenere un tono professionale in tutto il pitch è fondamentale per trasmettere sicurezza e affidabilità ai potenziali investitori.

A seguire, è importante dedicare una sezione al team includendo una foto del gruppo e fornendo i nomi e i relativi ruoli. In questa fase, è importante anche includere l’organigramma societario e la quota di partecipazione al capitale sociale, al fine di mostrare chi controlla la startup, nonché i membri dell’advisory board se esistente (non fosse, è opportuno crearlo). Nonostante sia sottovalutata, la presentazione del team rappresenta un aspetto cruciale per gli investitori e, pertanto, è vitale evidenziare chi sono i membri e quali risultati hanno conseguito nelle loro esperienze professionali.

Nel processo di creazione del pitch, non si può trascurare la sezione finanziaria. Sono necessari i “Financials” per fornire una panoramica sulla situazione economica della startup, da esporre durante la presentazione. Tra le voci da includere nel pitch non possono mancare la quantificazione economica dei ricavi, il margine operativo lordo (EBITDA), il risultato operativo prima della deduzione degli oneri finanziari e delle imposte (EBIT), la P&L, la Balance Sheet e il Cash Flow. Infine, è importante non trascurare i costi del personale, quelli per il marketing e quelli operativi.

Per concludere un pitch di successo è imprescindibile includere l’Investment Proposition: una slide in cui viene indicata la somma di denaro necessaria per avviare o far crescere la propria startup. Nel richiedere un finanziamento è importante essere trasparenti e inserire una “call to action” ben definita, esplicitando come saranno utilizzati i nuovi capitali. L’Investment Proposition, seppur imprescindibile, può essere presentata in un secondo momento con un breve accenno nel pitch qualora si ritenga opportuno affrontare questo aspetto cruciale in modo approfondito, dopo aver presentato al meglio e l’idea di business della startup innovativa.

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